La mia passione

Questo blog nasce dalla mia passione innata e coltivata negli anni.
Spero con i miei articoli di istaurare interessanti conversazioni con lo scopo di condividere ed ampliare questo interesse con altrettanti di voi appassionati del genere.
Spero di riuscirci !!!

venerdì 17 luglio 2015

Espansione cinese nel Mar Cinese Meridionale


Per il mio 30° articolo abbiamo pensato a qualcosa di diverso, scusate la qualità ed eventuali errori, ma è la prima volta che registriamo un videoblog, spero che vi piaccia.

Diretto e interpretato da Giovanni Smigliani con la gentile collaborazione alla regia e montaggio di Luca Angotti.

lunedì 29 giugno 2015

Jihad in Africa occidentale

Salve, sono tornato a scrivere quest'oggi ritagliandomi un po' di tempo dallo studio, ed ho intenzione di parlare di un argomento di cui mi sarei voluto occupare in precedenza, ovvero della guerra contro il gruppo islamico di Boko Haram.
Tale gruppo nasce nel nord della Nigeria,  paese a maggioranza musulmana, spinto dalla radicale opposizione a qualunque tipo di influenza occidentale nella cultura di uno dei paesi più sviluppati del continente africano.
La sua presenza, tuttavia, rimane quiescente, esclusi sporadici attentati, fino al 2009, quando Boko Haram prende il controllo della regione nord-orientale del paese dal quale avvia una campagna di attacchi contro la popolazione civile e le forze armate nigeriane, costrette ad abbandonare in buona parte quelle regioni.
Al di fuori della regione comunque questo gruppo terroristico resta sconosciuto o quasi, fino al rapimento di centinaia di giovani studentesse nell'Aprile del 2014, costrette a convertirsi all'islam ed a sposare i combattenti islamici in tutta l'area.
Questo fatto destò  sgomento nel mondo occidentale (#Bringbackourgirls) e USA e UK cominciarono ad inviare i primi aiuti al governo di Abuja, non soltanto di natura militare e/o umanitaria, ma anche di intelligence.
Nel frattempo, Boko Haram si fece più audace tanto da arrivare a sferrare alcuni attacchi nel 2015 nei paesi confinanti come Camerun e Chad.
A questo punto venne formata una coalizione di paesi composta da Nigeria, Niger, Camerun, Benin e Chad che passarono all'offensiva contro il gruppo estremista.

                 



Da parte sua Boko Haram ha risposto dichiarando la sua fedeltà all'ISIS ed ottenendo quindi lo status di rappresentante del Califfato in Africa occidentale, pertanto è riuscito e riesce ad arruolare estremisti da tutto il SAEL, dopo che il suo principale avversario per la leadership in Mali ha subito una dura lezione dalle forze armate di Parigi e continua a subirne di nuove.
Al momento, comunque, le truppe anti-Boko Haram sono riuscite a limitare le incursioni sui loro territori e recentemente hanno cominciato ad avanzare all'interno delle aree controllate in precedenza dagli estremisti.
Le truppe che, stando alle informazioni sul campo, stanno avendo più successo sono quelle del Chad, che in recenti operazioni hanno neutralizzato diverse centinaia di miliziani. Anche le truppe nigeriane, recentemente, sono riuscite a cacciare gli jihadisti da Maiduguri, città nel nord-est della Nigeria dove il gruppo nacque, grazie al massiccio supporto aereo garantito dagli elicotteri Mil Mi-24 Hind in forza all'Aeronautica militare nigeriana.
Ovviamente la guerra è lontana dall'essere vinta, tuttavia si possono notare i primi segni di una riscossa da parte dei governi di quei paesi affetti dal fanatismo religioso che grazie al supporto, tardivo, delle potenze occidentali e grazie alla volontà dei governi stessi stanno lentamente ma progressivamente riguadagnando il terreno perduto permettendo a migliaia di civili di tornare nelle loro case.
Altro fattore non indifferente, che però in pochi sottolineano, è che in paesi a forte presenza musulmana (Nigeria) o a maggioranza assoluta (Chad) vi è il più totale rifiuto di quelle ideologie estremiste e la più ferma volontà di eliminarle da quelle regioni.
Il neo-eletto presidente nigeriano Muhammadu Buhari, ex generale di fede musulmana, succeduto al cristiano Goodluck Jonathan, ha affermato di voler portare a termine la guerra contro i guerriglieri di Boko Haram, eliminandoli definitivamente dall'area insieme ai suoi alleati del Chad, del Camerun, del Benin e del Niger.
Questo è di monito per chiunque pensi che la fede islamica sia di per sè pericolosa, ma altrettanto, per coloro che pensano che muovere guerra non sia la risposta e si arroccano su posizione di pacifismo estremo. Di fatto, sono solo degli illusi ed ipocriti, poichè se è vero che le ideologie estremiste si sconfiggono con la cultura è anche vero che chi è diventato un fanatico ideologizzato non lo si può far tornare indietro, lo si può solo neutralizzare.
Voi come la pensate ? What do you think about ?
Avete posizioni diverse in merito ?
Grazie per la pazienza dimostrata.

giovedì 22 gennaio 2015

Libia, la ex colonia, dimenticata

Bentrovati a tutti, scusatemi per la lunga attesa, ma lo studio mi ha impegnato parecchio questi mesi.
Avendo oggi un pò di tempo, ho deciso di scrivere un articolo al quale  stavo pensando da tempo.
Come avrete intuito dal titolo, affronterò il tema di un paese e di una crisi ormai dimenticata sia dall'opinione pubblica italiana e sia dal governo, la Libia.
La crisi è partita nel 2011 con la caduta di Gheddafi e l'instaurazione di un governo provvisorio che avrebbe dovuto traghettare il paese nordafricano verso la democrazia.
Tuttavia questi sogni si sono infranti pochi mesi dopo, quando le forze laiche e leali al governo provvisorio si sono scontrate con le forze islamiste che, nel frattempo, erano cresciute in seno alla rivolta contro il regime di Gheddafi.
Dagli iniziali scontri di quartiere tra esigui groppuscoli di miliziani, si è passati ad un vera guerra civile.
Nel 2014 lo stesso governo si divise e, mentre a Tobruk si rifugiò il governo laico-moderato ufficialmente riconosciuto dall'occidente, a Tripoli si insediarono le forze islamiche composte sia da fondamentalisti libici che estremisti islamici cacciati dai paesi limitrofi.
Fin dall'inizio, le forze governative furono appoggiate dalle milizie laiche libiche come i Zintan che, per circa un mese, hanno difeso l'aeroporto di Tripoli dagli islamisti, e dal ricostruito esercito libico guidato dal generale Khalifa Haftar che, autonomamente, ha lanciato un'offensiva per riconquistare Bengasi, caduta in mano agli jihadisti dell'Ansar al-Sharia e proclamato la nascita dell'Emirato islamico e affermato la loro fedeltà all'ISIS.

   










                         

                     







Al momento la situazione è abbastanza confusa, un pò per mancanza di informazioni, un  pò per mancanza di interesse da parte dei media occidentali in genere e da quelli italiani in particolare.
In effetti, il nostro paese sembra essersi dimenticato del fatto che le nostre scorte di petrolio e derivati provengono proprio dalla Libia e che le nostre relazioni bilaterali con il paese nordafricano sono strategiche e di vitale importanza, sia per la nostra sicurezza che per la nostra economia.
Questa situazione, invece, sembra molto chiara all'Egitto di Al-Sisi che, infatti, ha deciso di intervenire direttamente appoggiando massicciamente le forze governative libiche con la sua forza aerea, poichè quella libica non è ancora stata ricostruita.
Tuttavia, lo stesso Al-Sisi a colloquio col nostro premier, durante la visita al Cairo, aveva espressamente auspicato un intervento italiano in Libia, ma dal nostro governo, a parte tante belle parole di vicinanza e solidarietà sono arrivate solo vaghe promesse, rimettendo la decisione di un qualche intervento per la soluzione del problema all'ONU/Nato. Tradotto, abdicando allo status di partner privilegiato della Libia.
La scusa implicita, ovviamente, è la crisi che attanaglia l'economia italiana, scusa che, comunque, non sembra valere per il contributo italiano all'operazione anti-ISIS, tra l'altro abbastanza marginale.
Il dato di fatto è che, un paese per noi così strategicamente importante come la Libia, non può essere lasciato nel caos, specialmente se abbiamo contribuito anche noi a causarlo ma, soprattutto, non possiamo permetterci di perdere il rapporto privilegiato che ci ha sempre legati, a favore di altri paesi alleati e, tantomeno, di lasciare indifese le nostre vie di approvvigionamento energetico.
Quindi più di preoccuparci dell'ISIS, che è già sottoposto alle "cure" di diversi paesi, concentriamoci su una realtà geo-politica molto più vicina a noi e, per molti aspetti, più importante.
Si pensi al problema immigrazione. L'intervento in Libia, si tradurrebbe in un'azione alla radice del problema dei flussi migratori, arrivati a livello ormai insostenibili.
Dal punto di vista economico inoltre, una operazione su vasta scala in Libia, non sarebbe gravata da costi di ridispiegamento in basi lontane extranazionali e, per di più, la nostra azione si svolgerebbe soprattutto con l'intervento dell'aviazione con bombardamenti mirati, e con un minimo dispiegamento di forze a terra. Le nostre forze speciali e alcuni piccoli reparti dell'esercito potrebbero essere di supporto all'azione principale sviluppata dalle forze governative libiche che, lentamente, stanno  guadagnando terreno sui jihadisti ed islamisti.
Io mi auguro fortemente che il nostro governo decida seriamente di occuparsi della crisi libica per risollevare definitivamente le sorti di un paese per noi vitale, e anche per risollevare il nostro status di potenza regionale al quale non possiamo rinunciare.
Voi cosa ne pensate ? What do you think about ?
Fatemi sapere nei commenti, e a presto.

martedì 7 ottobre 2014

Il risveglio del Dragone

Anche se ci costa ammetterlo, ormai è un dato di fatto. Nello scacchiere del Pacifico è emersa una nuova potenza mondiale: la Repubblica Popolare Cinese.
La Cina è una potenza economica che, però, sta rapidamente incrementando i suoi assets militari, non tanto in quantità quanto in qualità e, a nulla serve la presenza "monito" delle forze USA nell'Oceano Pacifico.
Anzi, se si osservano alcuni indicatori economici si capisce immediatamente che, a differenza degli USA, che  stentano ancora ad uscire dalla grave crisi economica, la Cina gode di una crescita economica superiore. Inoltre, è bene ricordare che la Cina detiene la maggior parte del debito americano, fatto questo che mette gli Stati Uniti d'America in una situazione abbastanza ambigua nei confronti del paese che dovrebbe essere la loro maggiore "minaccia".
Analizzando il settore della difesa, troviamo che la Cina è la seconda al mondo per spese militari dietro agli USA, con un rapporto spesa difesa-PIL di quasi 1,5% e, come la sua economia, la spesa per la difesa sta crescendo più o meno con ritmi costanti da circa 10 anni.
Non si può dire lo stesso per la spesa militare americana che, nell'ultimo ventennio, ha subìto due bruschi e considerevoli rallentamenti: il primo si è avuto all'indomani della fine della Guerra Fredda che, in parte, giustificava l'immensa spesa militare degli USA e della maggior parte dei paesi europei, il secondo rallentamento delle spese militari è stato la naturale conseguenza della grave crisi finanziaria che stiamo ancora vivendo.
Passiamo ad analizzare le capacità militari della RPC iniziando dalle Forza Popolare di Liberazione Terrestre (PLAGF). Essa è composta da più di un milione e mezzo di volontari e poco meno di un milione di riservisti, equipaggiati quasi tutti con armamenti moderni come l'MBT Type 99 ed il fucile d'assalto QBZ-95 ed addestrate in maniera eccellente, sia per conflitti convenzionali sia asimmetrici.
La Forza Popolare di Liberazione Marina (PLAN) dispone di una discreta flotta di superficie guidata dalla portaerei Liaoning (gemella della russa Kuznetsov) ed è accompagnata da un nutrito numero di cacciatorpediniere e fregate di buona fabbricazione e, soprattutto, dispone di una potente flotta sottomarina nucleare e convenzionale in grado di sferrare lanci di missili balistici nucleari grazie alla classe Xia e Jin (SSBN).
Numerosa e ben equipaggiata la componente anfibia composta di più di 10000 marines.
La Forza Popolare di Liberazione Aerea (PLAAF) schiera più di 600 aerei da combattimento, tra cui i recenti Chengdu J-10 ed i Shenyang J-11 e una nutrita componente di bombardieri strategici Xian H-6 più una buona aliquota di elicotteri d'attacco moderni CAIC WZ-10. Si sta, infine, sviluppando un caccia di 5° generazione, il Chengdu J-20.
Per la componente missilistica,  il Secondo Corpo d'Artiglieria (SAC)  impiega i temibili missili balistici intercontinentali ICBM DF-41 con gittata di oltre 40 mila kilometri armati con testate multiple MIRV.

      

  


Concludendo: acquisito il fatto che la Cina sta assumendo le caratteristiche di una nuova potenza mondiale dominante, come ci si deve comportare ?
Ovviamente con la crescita del gigante asiatico è normale aspettarsi, purtroppo, anche l'aumento delle frizioni con i  paesi viciniori, primi fra tutti Giappone e Corea del Sud.
Ne è la prova la costituzione della zona di identificazione aerea stabilita unilateralmente da Pechino nel mar cinese orientale che, di fatto, ingloba le isole Senkaku o Diaoyu, controllate da Tokyo ma rivendicate da Pechino. Tra i due antagonisti fungono da mediatore gli USA che cercano di calmare le acque diplomaticamente ma che, di fatto, condannano l'operato del governo cinese.
Viste le forze schierate dai due contendenti e, considerando le eventuali implicazioni internazionali che atti di forza potrebbero provocare, non possiamo che sperare nell'abilità diplomatica di questi paesi nella risoluzione pacifica delle loro contese territoriali.
Io sono abbastanza fiducioso che anche la Cina possa trovare un equilibrio con i proprio vicini senza l'uso della forza, o meglio, spero che sia così.
Ditemi la vostra opinione a riguardo; let me know what you think about this issue.

Gibuti: punto strategico

Qualche mese fa, è stata rivelata la costruzione di una base logistica italiana nel piccolo stato africano di Gibuti con lo scopo primario di appoggiare le operazioni di anti-pirateria nell'Oceano Indiano,
Ovviamente, non è solo questo lo scopo dell'avamposto italiano in Africa orientale.


La posizione geografica di Gibuti, prospiciente il golfo di Aden  e crocevia di intensi traffici commerciali, ne fa un paese estremamente strategico
La conferma di questo è data dal fatto che, oltre a noi italiani, a Gibuti è dispiegata, da sempre, una mezzabrigata della Legione Straniera francese e gli USA hanno stabilito una loro base. Inoltre, si parla che le forze di autodifesa nipponiche stiano installando un loro avamposto nel paese per agevolare le operazioni della loro marina presente nell'area.
Tuttavia, quello che dobbiamo sottolineare e che spesso si tende a sottovalutare, è che il nostro paese, come gran parte dei paesi europei, dipende (e forse più di altri), dalle rotte commerciali passanti per l'Oceano Indiano, mar Rosso e canale di Suez, rotte che devono, quindi, essere salvaguardate.
Inoltre, non bisogna ignorare il fatto che lo Yemen, paese della penisola araba posizionato di fronte a Gibuti, è anche uno dei centri di addestramento delle formazioni estremiste islamiche e, al momento, è uno dei paesi più instabili dell'area. Come anche la Somalia, altro paese instabile e in larga parte gestito da altri gruppi jihadisti.
Queste sono due ottime ragioni per giustificare l'installazione militare italiana a Gibuti e anzi, visto la nostra Storia con la Somalia, è ancora più importante per noi italiani essere presenti nell'area.
A tutti coloro che pensano ad un ritorno del colonialismo, rispondo che noi non stiamo lì per prendere il controllo di Gibuti o di altri paesi della regione, ma stiamo cercando di rendere più stabile l'area perchè è nostro dovere proteggere le vie di rifornimento vitali per la nostra economia.
Se tutto questo non vi convince vi informo, nel caso vi fosse sfuggito, che la Cina si sta accaparrando fette ingenti di paesi come Kenya, Tanzania e Mozambico attraverso accordi commerciali  a condizioni servili,  che prevedono lo sfruttamento di interi territori senza il minimo riguardo per le condizioni di lavoro cui viene costretta la popolazione e senza alcun rispetto dell'habitat naturale.
Per concludere, nonostante le inevitabili polemiche che tali decisioni possono provocare nell'opinione pubblica, specialmente quando quest'ultima non è adeguatamente informata sulle ragioni strategiche di queste scelte, io ritengo che la base logistica a Gibuti non sia  un investimento insensato o sbagliato.
Secondo le fonti da me consultate, mi trovo d'accordo con tali scelte anche se, magari, non sbaglia chi ritiene che un tale investimento si sarebbe potuto fare in un momento migliore per la nostra economia.

Spero di aver dissipato qualche dubbio o perplessità a riguardo e, se vi occorrono chiarimenti in merito o avete delle critiche da sottopormi, commentate l'articolo.
Qual'è la vostra opinione a riguardo ? What is your opinion about this issue ? Let me know in the comments.